È impossibile, per chi si occupa di comunicazione, non dedicare una riflessione alla versione italiana dell'Huffington Post a una settimana dal suo debutto.
E dunque: l’Huffington Post, quello originale, nasce negli Usa nel 2005 per iniziativa della giornalista Arianna Huffington e di altre due persone. L’originalità della formula consiste nell’integrare una redazione giornalistica tradizionale e una piattaforma che ospita numerosi blogger indipendenti (non retribuiti, ma questa è un’altra storia): una formula che ha fatto dell’HuffPost uno dei siti più visitati al mondo. E che ha portato alla sua vendita ad Aol, avvenuta a inizio 2011, per 315 milioni di dollari: niente male, per una quasi start-up, no? L’astuta Arianna, dopo avere incassato, non è andata ai Caraibi: è rimasta al comando della sua creatura e anzi ha assunto altre responsabilità nelle news del gruppo di appartenenza.Questo per quanto riguarda l’America. Poi è venuta l’espansione internazionale: Canada, Regno Unito, Francia, Spagna. E finalmente, il 25 settembre, l’Italia ha avuto il suo Huffington Post (denominato “L’Huffington Post“, con grande enfasi sull’articolo determinativo) realizzato in collaborazione con il Gruppo L’Espresso e diretto da Lucia Annunziata. Risultato? Beh, detto che “un nuovo organo di informazione è sempre un fatto positivo” (lo hanno detto tutti, è tutto sommato vero oltre che politicamente corretto, diciamolo pure anche noi) la sensazione è che la proverbiale montagna abbia partorito il proverbiale topolino: il presunto e attesissimo “game changer” dell’informazione su Internet (e forse dell’informazione in generale) è partito con una mega-intervista (abbastanza inginocchiata, peraltro) a un personaggio nuovo della politica, Silvio Berlusconi, del tutto inspiegabile in quanto non conteneva fatti nuovi, esclusive, rivelazioni. E nei giorni successivi si è esercitato in pezzi scritti in un politichese talmente stretto da richiedere l’uso di un vocabolario: basti, per tutti, quello sui “montiani” del Pd (o forse sui montiani tout-court, non ricordo), in cui il catalogo delle correnti del Pd (le “correnti”, capito, che modernità?) rasenta vette virtuosistiche, senza naturalmente che si capisca alcunché, a meno di essere Enrico Letta in persona.Intendiamoci: l’Huffington Post è una testata politica anche negli Usa. Ma la scelta degli argomenti e il tono della versione italiana fanno pensare a un prodotto editoriale totalmente autoriferito, scritto a Roma per essere letto a Roma, molto più decifrabile da parte dei professionisti della politica che dai lettori comuni. Esattamente come i quotidiani italiani, guarda caso poco venduti, che compongono – chi più chi meno – un gigantesco bollettino per i soci di un club, quello di Montecitorio e delle sue innumerevoli gemmazioni locali. Per il quale club, peraltro, proprio nei giorni in cui l’HP debutta, si avverte pochissima simpatia. Dove sta l’inghippo? Con ogni probabilità nel direttore responsabile: Lucia Annunziata ha trascorso tutta la sua carriera fra giornalismo politico e politica, in una parabola che l’ha condotta dal Manifesto alla presidenza della Rai. Pur (forse) bravissima, è il prodotto di quel percorso: molto romano, molto politico, molto autoriferito. Sa fare esattamente quello che fa: giornalismo politico romano vecchio stile, con tanto di “correnti” del Pd. A me, per dire, Il Post (quello senza Huffington) sembra molto più contemporaneo e internazionale, anche senza l’imprimatur dell’astuta Arianna. La quale, per la cronaca, si chiamerebbe Stassinopoulos, ma ha pensato bene di tenersi il ben più prestigioso e anglosassone cognome di un ex-marito.
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